L'Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1973 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).
Montecompatri-Colonna o Montecompatri o Colonna
Disciplinare: Approvato DOC con DPR 29.05.1973 G.U. 221 - 28.08.1973
Regione: Lazio
Provincia/e: Roma
Enoregione/i: CASTELLI ROMANI
Città del Vino: Comune di Zagarolo, Comune di Colonna
Tipologie: «Montecompatri-Colonna» o «Montecompatri» o «Colonna»; «Montecompatri-Colonna» o «Montecompatri» o «Colonna» Frizzante; «Montecompatri-Colonna» o «Montecompatri» o «Colonna» Superiore
Vitigno/i: Malvasia (bianca di Candia e puntinata) fino ad un massimo del 70%; Trebbiano (toscano, verde e giallo) in misura non inferiore al 30%. Possono concorrere alla produzione di detto vino anche le uve bianche provenienti dai vitigni Bellone e Bombino presenti nei vigneti fino ad un massimo del 10% del totale delle viti esistenti.
Cenni storici e/o geografici: La presenza della viticoltura nell’area delimitata risale all’epoca romana: le più importanti ville situate nei dintorni di Roma, nell’area dei Colli Albani, corrispondente agli odierni Castelli Romani, possedevano grandi spazi dedicati alla conservazione del vino: molti vini famosi all’epoca dei romani molti provenivano dai Colli Albani. Nel medioevo i contratti agrari ed i documenti di varia natura, conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione di tale coltura. Con la caduta dell’Impero Romano e la fine delle invasioni barbariche, la viticoltura in queste terre, nonostante i danni subiti, non perde la sua continuità con il passato e mantiene sempre un ruolo importante; come testimoniano i numerosi atti notarili, inerenti i terreni vitati, custoditi negli archivi monastici. Nei secoli successivi la viticoltura ha rappresentato la coltura principale dell’area, tanto che nelle Memorie Colonnesi (1855), il Coppi riporta che nel 1297 il Papa Bonifazio VIII nel sottomettere i Colonnesi assoldò delle truppe che dovevano agire “distruggendo anche e devastando le vigne, gli alberi e tutte le altre cose”. In La Gerarchia cardinalizia (1703), il Carlo Bartolomeo Piazza riporta per Rocca Priora “il territorio... e nella copia di vini” e per Monte dei Compiti (Montecompatri) “...territorio abbondante di frutti, e copioso di vini”. Anche il Marocco, in Monumenti dello Stato pontificio e relazione topografica di ogni paese (1835), riporta per Montecompatri “Il territorio è abbondante di vini, ne manca degli altri generi alla vita necessari, oltre il terreno di natura ferace ve anche zelo negli abitanti che lo coltivano”, e per Rocca Priora “abbonda di vino”. Nel corso dei secoli la viticoltura ha dunque mantenuto il ruolo importante nell’economia agricola del territorio contribuendo in modo significativo allo sviluppo sociale ed economico dell’area, come testimonia la Sagra dell’Uva di Colonna giunta alla cinquantunesima edizione. La zona geografica delimitata si estende su una superficie di circa 3.200 ettari e comprende parte dei terreni pedocollinari e delle pendici settentrionali dei Colli Albani, che hanno avuto origine da formazioni vulcaniche generate dalle eruzioni del Vulcano laziale. L’orografia collinare dell’areale di produzione, il clima e l’esposizione a ovest e nordovest, concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del Montecompatri-Colonna. Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche di questa DOC.
Prodotto: PANGIALLO (PAT)
Descrizione: È un dono di Natale da tempi antichissimi, quando le mogli dei contadini lo regalavano ai notabili del luogo, ma forse ha origini ancora più lontane, nei dolci dorati che i romani erano soliti distribuire durante la festa del solstizio d’inverno per favorire il ritorno del sole. Secondo alcuni il nome deriva dall’abbondanza di canditi di buccia d’arancia, cedro e limone, ma è probabile che sia invece da collegare alla copertura di glassa gialla. L’impasto comprende farina bianca, lievito di birra sciolto in acqua tiepida, miele, cioccolato, canditi, pinoli, mandorle, uva passa, cannella. Dopo la lievitazione di almeno dodici ore, se ne ricava una pagnotta bassa a forma di zuccotto che viene spalmata con una pastella di farina, acqua, olio extravergine d’oliva e zafferano e infornata a 180° C per quaranta minuti.
Piatto: ZUPPA DI TELLINE
Descrizione:In una padella posta sul fuoco si fanno aprire le telline, accuratamente spurgate dalla sabbia, si sgusciano (lasciando da parte qualche guscio per la decorazione del piatto) poi si immergono in un soffritto di olio, aglio, pasta di acciughe e peperoncino dove è stato fatto cuocere del pomodoro per circa dieci minuti. Si aggiungono acqua, vino bianco secco e sale e si fa insaporire il tutto per qualche minuto ancora. La zuppa va servita ben calda con una spolverata di prezzemolo tritato sopra fette di pane casereccio fritte o abbrustolite e strofinate con aglio. Le telline possono essere sostituite dalle vongole.