Auguri alla DOC Zagarolo

Auguri alla DOC Zagarolo


L'Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1973 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

Zagarolo

Disciplinare: Approvato DOC con DPR 29.05.1973 G.U. 215 - 21.08.1973

Regione: Lazio

Provincia/e: Roma

Enoregione/i: CASTELLI ROMANI

Città del Vino: Comune di Zagarolo

Tipologie: “Zagarolo secco”, “Zagarolo amabile”, “Zagarolo Superiore secco”, “Zagarolo Superiore amabile”

Vitigno/i: Malvasia (bianca di Candia e puntinata) fino ad un massimo del 70%; Trebbiano (toscano, verde e giallo) in misura non inferiore al 30%. Possono concorrere alla produzione di detto vino anche le uve bianche provenienti da viti dei vitigni Bellone e Bombino, presenti nei vigneti fino ad un massimo del 10% del totale delle viti esistenti.

Cenni storici e/o geografici: La combinazione tra le caratteristiche del terreno e i fattori climatici determina per i vini bianchi, la produzione di significative quantità di precursori aromatici che consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche e i sentori tipici dei diversi vitigni che concorrono alla produzione di questa DOC. La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra dello “Zagarolo” è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, poi migliorate ed affinate nell’epoca moderna e contemporanea fino ad ottenere i rinomati vini descritti dal disciplinare. In particolare la presenza della viticoltura nella zona è attestata fin dall’epoca romana, in molti reperti dei georgici latini. Nel medioevo i contratti agrari ed i documenti di varia natura, conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione di tale coltura. Con la caduta dell'impero romano e la fine delle invasioni barbariche, la viticoltura in queste terre, nonostante i danni subiti, non perde la sua continuità con il passato e mantiene sempre un ruolo importante; come testimoniano i numerosi atti notarili, inerenti i terreni vitati, custoditi negli archivi monastici. Gli Statuti della Città di Zagarolo, emanati il 31 luglio 1552, regolavano l’ordinamento della Comunità di Zagarolo su cui era basata la vita sociale, economica, religiosa, agricola e pastorale. Diversi Capitoli degli Statuti trattano della vite e del vino a testimonianza dell’importanza che anche allora rivestiva la vitivinicoltura. Anche nei secoli successivi la viticoltura ha rappresentato la coltura principe dell’area. Non mancano notizie circa la capacità dei viticoltori come riportato nella Topografia statistica dello stato pontificio ossia breve descrizione delle ... (1857), dove Adone Palmieri, scrive “Il territorio di Zagarolo in piano, ricchissimo in ispecie d'ubertosi vigneti, è disparso di paragrandini, de' quali il primo inventore fu Lapostelle, ed anche gremito di case ad uso di cantine, ove si rimette eccellente e copioso vino, di che poscia que' popolani fanno lucroso traffico colla Capitale, imperciocchè nelle buone stagioni se ne rimettono sino a 7 od 8 mila botti”. In Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma (1837), il Nibby, descrive il Fondo di S. Pastore in Gallicano annotando “La grotta nel suo genere è magnifica, essendo tutta scavata nel tufa, e a forma di un parallelepipedo, tagliato in mezzo da un andito; intorno ad essa a destra e sinistra sono cento nicchie, pure iscavate nel tufa atte a contenere 100 botti di vino”, e nel Saggio statistico storico del pontificio stato (1829) Vol. 1, Gabrielle Calindri riporta per Gallicano “viene di maggior prodotti fieno, grano, vino”. Il Marocco, in Monumenti dello Stato pontificio e relazione topografica di ogni paese (1835), scrive per Zagarolo “Nulla manca all' umano sostentamento, ed in particolare i vini sono il maggior reddito, mentre godono molta riputazione, potendosi assomigliare ai Veliterni per gagliardia, e per il rosso colore, non alterato come altrove con bacche di sambuco, ed altre cose poco confacenti. Le vigne restano corredate di eccellenti grotte ove i medesimi vini si conservano”.

 

Prodotto: CACIOTTA DI BUFALA (PAT)

Descrizione: Formaggio rigorosamente artigianale, prodotto dall’autunno inoltrato fino alla primavera nella Valle dell’Amaseno. Il latte bufalino viene portato a 30° C e addizionato con caglio di capretto in pasta (a volte si prepara addirittura senza, sfruttando la sola acidità del latte). La salatura si effettua a secco. Dopo una maturazione di venti giorni in cantina, le forme stagionano sottovuoto in contenitori di vetro chiusi ermeticamente. Il prodotto finito ha forma cilindrica, crosta e pasta bianca compatta e caratteristico sapore forte.

 

Piatto: ABBACCHIO ALLA CACCIATORA

Descrizione: Una tra le preparazioni della cucina romana più note, dal sapore piuttosto delicato pure se intenso e saporito. Il vero abbacchio è l’agnello lattante della campagna laziale o abruzzese, che non ha ancora iniziato a brucare l’erba (tra i venti e i trenta giorni). La carne della coscia, tagliata in piccoli pezzi e infarinata, viene rosolata a fuoco vivace in tantissimo Olio extravergine d’oliva della Sabina (DOP) con un pezzetto di aglio tritato, una forte pizzicata di rosmarino (sminuzzato o intero) e una foglia di salvia tritata. Si lascia, poi, cuocere a fuoco moderato per tre quarti d’ora circa con aggiunta di aceto allungato con acqua e, a fine cottura, acciughe salate diliscate che si dissolveranno nella salsa densa e scura. Si può anche utilizzare l’agnello, ma in questo caso i tempi di cottura saranno superiori