La Cura: cultura contadina, innovazione e sostenibilità

La Cura: cultura contadina, innovazione e sostenibilità


E ci stupisce ancora una volta l'inesauribile proprietario dell'Azienda La Cura di Massa Marittima, Enrico Corsi: è sua, infatti, la prima etichetta in braille della Toscana. “Abbiamo iniziato da Vedetta, una speciale selezione di cabernet sauvignon ricavata da alcuni vigneti in località Monte di Muro recentemente acquisiti in una collina esposta a sud chiamata Poggio Vedetta (nomen omen, si potrebbe dire), ma presto tutte le bottiglie delle prossime annate avranno questa nuova veste”, ci dice Corsi che prosegue raccontando come è nata l'idea di dare la possibilità anche a non vedenti o ipovedenti di avvicinarsi al vino prima ancora di stapparlo: “L'occasione è stata una cena al buio organizzata a Massa Marittima dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. C’erano i miei vini quella sera. Tastavo le bottiglie e versavo nel bicchiere il nettare senza neanche sapere se si trattava di un bianco o di un rosso. Mi sono trovato in difficoltà e ho pensato che sarebbe bastato davvero poco per comunicare qualcosa del prodotto senza dover per forza vedere il contenitore.” E in effetti sono bastati 5 centesimi in più a bottiglia per dotarla di una retro etichetta con caratteri in braille e Qr code con informazioni audio sulle caratteristiche del vino. Il progetto è stato da subito sostenuto con entusiasmo dall’Uici di Grosseto che ha curato la traduzione dei testi. E la cena al buio si è ripetuta a Follonica, lo scorso 29 ottobre, sponsorizzata da Slow Food Monteregio e dall’azienda La Cura con il contributo di Banca Mediolanum e il supporto di Radio Piombino, per far comprendere a tutti che cosa significa mangiare e bere senza poter vedere il contenuto di piatti e bicchieri, ma utilizzando altri sensi per scoprire le qualità di cibi e vini.

L'azienda di Corsi è da sempre caratterizzata da un forte richiamo all'etica, strettamente legata alla cultura contadina e con una decisa propensione alla sperimentazione e all'approccio ecologico nella lavorazione del suolo e dei vigneti, attenta alla tutela dell’ambiente e al risparmio energetico. La Cura produce tra l'altro energia elettrica, che utilizza per le proprie attività, attraverso un impianto fotovoltaico di 1 MW di potenza, situato nei pressi degli edifici aziendali. La sua filosofia produttiva privilegia un approccio ecologico per la lavorazione del suolo e delle vigne, coordinata dall’Università di Pisa che è anche il principale partner tecnico dell’azienda. E ne è una testimonianza, tra le altre, il secondo posto dell'edizione 2014 di “Impronte d’eccellenza”, il premio speciale promosso da Città del Vino insieme a Cifo che viene assegnato alle tre cantine che risultano praticare le migliori tecniche agronomiche sostenibili in vigna e cantina.

L'Azienda La Cura nasce nel 1968 quando Andrea Corsi acquistò un'azienda incentrata su orticoltura e cerealicoltura. Costretto da una normativa della Provincia che lo obbligava a tenere una vigna per essere classificato come agricoltore, Andrea ne impiantò subito 2 ettari. Oggi gli ettari coltivati a vigneto sono 12 e si trovano all'interno della denominazione Monteregio di Massa Marittima (una città del vino nel cuore della “California d'Italia”), nella fascia delle cosiddette “Colline Metallifere”. Le principali varietà allevate sono Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Ansonica, Vermentino, Malvasia, Trebbiano e Chardonnay, per una produzione complessiva di 30 mila bottiglie.

Ma la storia di famiglia che riguarda il vino inizia molto prima, risale ai primi del '900 quando il nonno di Andrea che si chiamava come lui - nonno Andrea, nonno 'Drea - produceva circa 100 ettolitri di vino che per l'epoca erano una gran quantità e lo distribuiva a km 0 perché vendeva tutto a bicchieri nella vineria di casa, in paese. Era un uomo attento al suo lavoro, come dimostra l'ebulliometro di Malligand, lo strumento tutto di ottone con cui misurare il grado alcolico, ancora nelle mani di Enrico, il pronipote. Poi venne l'epoca della filossera che bruciò tutte le vigne, costringendo nonno 'Drea ad iniziare daccapo con un'altra azienda più piccola dedicandosi però non alla produzione ma al commercio. Il figlio Valdemaro, nato agricoltore, guidava le bestie e con il carro portava alle miniere - carrava, era il termine usato - i pali ed altra attrezzatura. Erano tempi di forte miseria, il piccolo podere si trovava su colline povere, dove d'inverno le mucche da lavoro non ce la facevano ad alzarsi da sole per la debolezza ma andavano tirate su per la coda e per alimentarle facevano la foglia, cioè sfogliavano le piante, insomma era una vita dura.

Poi con il commercio - una tabaccheria vineria che fungeva anche da alberguccio e all'occorrenza serviva una coppia di uova al tegamino - le cose andarono meglio ed arriviamo ad Andrea, che oggi ha 81 anni. Dopo diciotto anni passati a sfornare pane, fece fortuna prima come commerciante di bestiame e di mangimi, poi come allevatore tanto da poter comprare un podere ed iniziare nuovamente con la vite.

Mio babbo, che ora ha 81 anni, cominciò a fare il vino come in gioventù, cioè vendendolo sfuso nella cantina” - racconta Enrico Corsi - “Le prime bottiglie di vino bianco sono arrivate nel 1999 quando io un po' caparbiamente ho preso in mano la produzione, mentre il primo rosso è del 2000: un super Sangiovese Riserva che incredibilmente in Italia arrivò a costare 20 euro, il doppio dei vini locali, e a New York 100 dollari, perché gli Americani se ne erano innamorati. Ma poi da quella vigna di oltre 30 anni non sono più riuscito a ricavare un vino di quel prestigio, di quella potenza, e allora mi sono buttato sui vitigni internazionali. Io volevo piantare Sangiovese, la vite più usata in toscana e la più produttiva, ma era il 2000, l'anno in cui tutti piantavano viti soprattutto di questo vitigno e le barbatelle erano finite. Per combinazione trovai delle barbatelle di Merlot avanzate, nemmeno certificate, e fu un successone, perché con quella vigna, che poi ho moltiplicato per tre, ci ho vinto il concorso per il miglior Merlot di Italia ad Aldeno nel 2010 con il Merlot 2008, mentre nel 2008 con l'annata 2006 ero arrivato primo degli Igt”.

La produzione continua a differenziarsi e a guadagnare riconoscimenti con le Doc Monteregio di Massa Marittima Rosso Colle Bruno (dedicato al nonno materno che era di Valdelsa) e Brecce Rosse, l'Igt Maremma Toscana Rosso Cabernets, gli Igt Maremma Toscana Bianco Valdemar (dedicato al nonno paterno) e Trinus (Malvasia, Chardonnay e Vermentino, “padre figlio e spirito santo, spieghi cos'è la trinità dicendo che è tre sostanze e un sapore solo, ma se tu lo sai valutare le riconosci una per una”, sottolinea Corsi). E naturalmente il Predicatore Toscana Igt, un passito rosso ricavato da uve Merlot appassite al sole in modo naturale, che ha una storia tutta sua.

La mia nonna diceva che è un peccato sprecare la roba, nella civiltà contadina 'un si butta via niente. Nasce da qui l'idea di recuperare i grappoli altrimenti destinati ad essere persi. Il mio babbo non sopportava l'idea di diradare le uve e questi acini, che costituivano il 50% della produzione e rimanevano in terra scartati, provocavano delle liti in famiglia che duravano settimane intere. Avevo iniziato ad occuparmi direttamente del vino da tre anni quando, sempre per combinazione, per mancanza di tempo mi trovai a diradare il Merlot con una settimana di ritardo, quando le uve erano già invaiate, cioè avevano già cambiato colore perché avevano dello zucchero dentro. Dopo una settimana ripassando nel vigneto assaggiai quest'uva passa che era squisita e decisi di vinificarla, pensando al metodo con cui si trattano le uve del Vinsanto, le prime ad essere raccolte. L'esperimento riuscì e da allora ogni anno lasciamo per ogni pianta due grappoli, di cui uno viene raccolto in un secondo momento”.

La tecnica messa a punto grazie alla preziosa collaborazione dell'Università di Pisa e all'uso di metodiche antiche, consiste dunque nel diradare le uve con un po' di ritardo, ottenendone un duplice guadagno. Anche l'epoca di vendemmia del Merlot viene in genere posticipata all'ultima settimana di settembre e permette di vinificare quando il clima è più fresco. Le uve, appassite al sole in modo naturale, sono un po' zuccherine e quindi atte a fare un vino passito, in cui è importante raggiungere un giusto equilibrio tra acidità e zuccheri. Il risultato? Uno splendido vino dolce, la cui etichetta riproduce una predica di San Bernardino in Piazza del Campo a Siena, dipinta da Sano di Pietro nel XV secolo. E' ora più chiara la scelta di dare a questo vino pluripremiato, il nome del santo riconosciuto come uno dei più grandi predicatori della cristianità e che nei suoi sermoni ammoniva “la proprietà non appartiene all'uomo ma è per l'uomo". L'idea di fare un vino prodotto con uve considerate inadatte alla vinificazione ricorda, infatti, le parole del Vangelo "la pietra scartata è divenuta testata d'angolo". Bernardino era un frate scherzoso che condannava l'usura, lodava gli imprenditori onesti e giustificava la proprietà privata solo se utilizzata per rendere migliore tutta la società. La sua attenzione agli aspetti pratici della vita dei fedeli, con un'analisi decisamente moderna, fu così incisiva da essere sprone di forte rinnovamento per la Chiesa cattolica italiana e per tutto il movimento francescano.

Tra gli ultimi arrivati in casa Corsi è il Cavaliere d’Italia, che nasce nel 2011 dalle vigne acquisite a Scarlino, “vigne buone” - puntualizza Enrico - “perché hanno 18 anni e sono davanti al Padule di Scarlino dove nidifica il cavaliere di Italia, un uccello migratore che privilegia i climi come quello della Maremma e la cui sagoma affilata e snella ben descrive questo prodotto fresco, sottile e goloso. La scelta del nome è stata un po' influenzata dalla voglia di festeggiare l'Unità di Italia e contemporaneamente il primo anno della Doc Maremma Toscana, con un vino ricavato da un uva nobile per eccellenza, il genio toscano dell'uva cioè il Sangiovese”.

Tanti i riconoscimenti arrivati negli ultimi anni a premiare la filosofia produttiva dell'Azienda. Tra quelli attribuitigli nelle diverse edizioni della Selezione del Sindaco, ricordiamo qui la Medaglia d'Oro per il Predicatore e le Medaglie d'Argento per Trinus e Merlot nel 2009, la Medaglia d'argento per Trinus nel 2010, le Medaglie d'Argento per il Predicatore e il Cavaliere d’Italianel 2011, le Medaglie d'Argento per Brecce Rosse e Cabernets nel 2012, la Medaglia d'Argento per il Merlot e la Gran Medaglia d'oro per il Predicatore nel 2013, ledue Medaglie d'Oro del 2014 (una per il Cabernets 2010, l'altra per il Brecce Rosse 2012), la Medaglia d'Oro per il Merlot e le Medaglie d'argento per Trinus e Brecce Rosse nel 2015.

E le quantità di produzione? Basse, e non solo perché si fanno pochi quintali di uva ad ettaro. “Non vogliamo imbottigliare più della quantità che sarebbe vendibile ad un prezzo equo. L'intenzione di espandere il mercato e cercare di crescere ovviamente c'è, ma mantenendo la filosofia del servizio: fare un vino 'poco' ma buono e che costi in maniera giusta. Prima per esempio la produzione ortofrutticola veniva fatta in grande stile per venderla ai supermercati, ma per farla “perfetta” come ce la chiedeva la grande distribuzione dovevamo avvelenarla un giorno sì e un giorno no. Ci siamo stancati e ora ne facciamo a meno, limitandoci ai pochissimi trattamenti indispensabili per combattere efficacemente i patogeni (che in Maremma, essendo caldo, sono essenzialmente le tignole). Noi si vende a casa e si compra in fiera, come diceva nonno Valdemaro, perché comprando in fiera si sfrutta la concorrenza dei venditori e vendendo a casa si ha la possibilità di “fare confidenza” (oggi si dice “fidelizzare il consumatore”) offrendogli la possibilità di assaggiare i nostri prodotti per fargli capire chi siamo e come lavoriamo”.

Lo sanno bene i numerosi e affezionati abitanti e turisti di questo tratto della costa toscana, che da anni si fermano in azienda a comprare prodotti freschi e trasformati: frutta, verdura, conserve e marmellate, vino e olio. perché Enrico, che ha fatto il Master in Olivicoltura e Olio di Qualità dell'Università di Pisa, è anche uno sperimentatore dell'olivo. La base del suo extravergine è Frantoio, Moraiolo, Leccino e Pendagliolo (una cultivar poco conosciuta e proveniente da Volterra), ma poi c'è un piccolo impianto della Nostrana di Brisighella (dall'oliva molto profumata) e dal 2012 anche un ettaro di superintensivo costituito per metà dalla spagnola Arbechina e per metà dal Leccio del Corno, pianta toscana poco vigorosa ma che dà un olio squisito. La speranza è che si riveli un buon investimento, perché questo tipo di oliva si raccoglie con la vendemmiatrice, che oltre all'uva raccoglie anche le olive senza sciuparle e in tempi ridottissimi - in due ore hai fatto un ettaro e dopo tre ore lo trasformi al frantoio - assicurando così il massimo della genuinità, della tecnica e della economicità. (di Alessandra Calzecchi Onesti)